JESI: Delitto all’isola delle capre – musica di Marco Taralli, 25 – 27 NOVEMBRE 2022

  • Novembre 17, 2022

55^ STAGIONE LIRICA DI TRADIZIONE DEL TEATRO PERGOLESI DI JESI

La prima mondiale dell’opera lirica “Delitto all’isola delle capre”, musica di Marco Taralli dal dramma in tre atti del poeta e drammaturgo Ugo Betti e su libretto di Emilio Jona, in scena al Teatro Pergolesi di Jesi venerdì 25 novembre ore 20 ,30 e domenica 27 novembre ore 16 con anteprima giovani mercoledì 23 novembre ore 16. Una nuova commissione e nuova produzione della Fondazione Pergolesi Spontini in coproduzione con il Teatro dell’Opera Giocosa di Savona.

 Mercoledì 30 novembre ore 21,15 l’opera sarà all’Auditorium Benedetto XIII di Camerino, città natale di Ugo Betti, nel 130° anniversario della nascita dello scrittore marchigiano, tra i più drammi rilevantiturghi italiani del ‘900.

 Nasce e debutta al Teatro Pergolesi di Jesi l’opera lirica “Delitto all’isola delle capre” con musica di Marco Taralli dal dramma in tre atti del poeta e drammaturgo Ugo Betti e su libretto di Emilio Jona . Nuova commissione e nuova produzione della Fondazione Pergolesi Spontini in coproduzione con il Teatro dell’Opera Giocosa di Savona, l’opera andrà in scena in prima esecuzione assoluta venerdì 25 novembre ore 20.30 e domenica 27 novembre ore 16 , con anteprima riservata ai giovani mercoledì 23 novembre ore 16a Jesi, quale terzo titolo nel cartellone della 55esima Stagione Lirica di Tradizione del Teatro Pergolesi.

Grazie al contributo della Città di Camerino e con il patrocinio dell’Università di Camerino in collaborazione con la Fondazione Pergolesi Spontini, l’opera sarà poi replicata mercoledì 30 novembre ore 21,15 all’Auditorium Benedetto XIII di Camerino , città natale di Ugo Betti (Camerino 1892 – Roma 1953)

Con questo evento, le città di Jesi e di Camerino celebrano i 130 anni dalla nascita dell’autore marchigiano, poeta, scrittore e giudice, tra i più rilevanti drammaturghi italiani del ‘900.

La direzione dell’opera è affidata a Marco Attura sul podio del Time Machine Ensemble , la regia è di Matteo Mazzoni , le luci di Marco Scattolini. Scene e costumi sono firmate da Josephin Capozzi , vincitrice della II edizione del Concorso dedicato a Josef Svoboda “ Progettazione di Allestimento scene e costumi di Teatro Musicale” riservata a iscritti e/o neodiplomati al Biennio di Specializzazione in Scenografia delle Accademie di Belle Arti di Macerata , Bologna e Venezia. Il concorso è una nuova modalità per valorizzare giovani creativi che possono vedere realizzato il proprio progetto scenico e hanno la possibilità di valorizzare il proprio curriculum collaborando con registri professionisti.

Il mezzosoprano Sofia Janelidze canta Agata, il soprano Yuliya Tkachenko è la figlia Silvia, il soprano Federica Vinci è la cognata Pia, Andrea Silvestrelli interpreta Angelo, Edoardo è Alessandro Fiocchetti .

Ugo Betti è drammaturgo oggi semidimenticato, eppure dopo Luigi Pirandello è certo uno tra quelli più di rilievo nel 900 italiano. I suoi temi sono insieme arcaici e attuali come quelli di una tragedia greca , mentre la sua struttura narrativa e drammatica appare immediatamente traducibile nel linguaggio dell’opera lirica.

“Delitto all’isola delle capre” è uno dei suoi capolavori , scritto nel 1948 ed è stato rappresentato per la prima volta a Roma nel 1950. Il titolo dichiara fin dall’inizio il carattere dell’opera: siamo in un vero giallo , con tanto di omicidio finale. Ma è solo l’apparenza perché il tema vero del dramma è tutt’altro: è il percorso e l’intreccio delle passioni eterne degli umani.

“È un vero e proprio noir, una storia senza lieto fine, senza vincitori e soprattutto senza buoni, in cui il dipanarsi degli eventi fa uscire fuori dalla parte peggiore dell’anima di ognuno”, racconta il compositore Marco Taralli . “È un soggetto che ho nella mente e nel cuore da più di 30 anni – prosegue – Ero ancora studente quando lo lessi per la prima volta, già avevo in mente il Teatro Musicale, e rimasi immediatamente affascinato dal plot del grande magistrato”.

“Del testo di Betti – fa sapere il librettista Emilio Jona – mi hanno prima di tutto interessato i suoni: il vento che spazza un’isola deserta, il rumore delle mandibole delle capre che brucano l’erba in prati desolati, lo sbattere di una persiana irraggiungibile al primo piano di una casa in rovina, le voci deformate che prendono da un pozzo che sta al centro della scena e del dramma. Poi le storie e la personalità delle tre donne sole che abitano quel l luogo, la loro insolita sorte di cittadine diventate pastore di capre, il loro radunare in sé qualcosa di arcaico, da tragedia greca e insieme di contemporanei, sentimenti, comportamenti, rapporti affettivi senza tempo”.

Al centro della vicenda è un gineceo, composto da una madre dura, amara, di una bellezza un po’ sfiorita, da una figlia con tutti i turbamenti dell’adolescenza, da una cognata quarantenne, piacente e un po’ fatua, in cui irrompe un uomo, dal nome emblematico, Angelo, giovane, sicuro di sé, furbo e prepotente, maschilista e dionisiaco. Viene da lontano, dice di essere stato l’amico dell’uomo che quelle donne ha abbandonato alcuni anni prima, che è morto con molti rimpianti e che gli ha lasciato un messaggio e un compito, quello di tornare al posto suo tra le tre donne. Con la sua venuta, il suo introdursi nel loro mondo e nelle loro anime, in quella stanza, in quel pozzo anche simbolico, avverranno così fatti che sconvolgeranno la vita di tutti.

Biglietti: posto unico euro 22, under 18 euro 5, under 6 euro 0,50. Loggione euro 10.

INFO: Fondazione Pergolesi Spontini, www.fondazionepergolesispontini.com


Jesi, Teatro G.B. Pergolesi

Mercoledì 23 novembre, ore 16 – anteprima giovani riservata ai partecipanti al progetto Musicadentro 2022

Venerdì 25 novembre, ore 20.30

Domenica 27 novembre, ore 16

 

Camerino, Auditorium Benedetto XIII

Mercoledì 30 novembre, ore 21.15

con il contributo di Città di Camerino

con il patrocinio dell’Università di Camerino

 

DELITTO ALL’ISOLA DELLE CAPRE

dal dramma in tre atti di Ugo Betti

libretto di Emilio Jona

musica di Marco Taralli

 

Personaggi e interpreti:

Agata la vedova del professore Sofia Janelidze

Pia la sorella del professore Federica Vinci

Silvia la figlia del professore Yuliya Tkachenko

Angelo un compagno del professore Andrea Silvestrelli

Edoardo, Alessandro Fiocchetti

 

direttore Marco Attura

regia Matteo Mazzoni

scene e costumi Josephin Capozzi *

luci Marco Scattolini

 

*vincitrice della II edizione del Concorso dedicato a Josef Svoboda “Progettazione di Allestimento scene e costumi di Teatro Musicale” riservato a iscritti e/o neodiplomati al Biennio di Specializzazione in Scenografia delle Accademie di Belle Arti di Macerata, Bologna e Venezia).

 

Time Machine Ensemble

 

NUOVA COMMISSIONE

PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA

in coproduzione con Teatro dell’Opera Giocosa di Savona

Note musicali

MARCO TARALLI

Delitto all’isola della capre: capolavoro di Ugo Betti, soggetto che ho nella mente e nel cuore da più di 30 anni. Ero ancora studente quando lo lessi per la prima volta, già avevo in mente il Teatro Musicale, e rimasi immediatamente affascinato dal plot del grande magistrato. “Delitto all’isola della capre” ed è subito noir!

Quando ho proposto l’idea alla direzione artistica del Teatro Pergolesi è stata subito accettata con grande interesse, e l’avventura è partita. Ho proposto l’idea ad Emilio Jona, entusiasmando anche lui praticamente in tempo reale; Emilio si è messo immediatamente al lavoro, e mi ha prodotto una prima bozza di libretto già pochi giorni dopo che glielo avevo proposto. E io immediatamente mi sono messo a studiare questi quattro personaggi, sempre tutti e quattro onnipresenti sulla scena, questa specie di mostro con 4 teste che si avvolge e si contorce mostrando ogni volta una parte di sé che prima neanche si immaginava potesse esistere, in una infinita serie di combinazioni date da un turbine di sentimenti ogni volta differenti. Ma, e questa era la vera sfida, questo mostro è anche formato da quattro individualità ben distinte e definite, ognuna delle quali deve venire fuori con chiarezza nel dipanarsi della storia.

E così l’avventura è iniziata, ed è iniziata nel più tradizionale dei modi, iniziando a fare le “tinte di fondo” della mia partitura, l’elemento comune e sempre presente in ogni situazione, le armonie di base e le prime cellule ritmiche. Per una storia così torbida cosa di meglio di una settima di sesta specie? La purezza e la definizione di una triade minore “macchiata” – forse è più corretto dire “sporcata” – da una settima maggiore sovrapposta. Che però va a contrapporsi, quando non a dialogare, con una settima di settima specie, la purezza stavolta di una triade maggiore sporcata stavolta da una settima maggiore sottoposta. Il colore tonale è sempre presente, del resto è la mia cifra, ma mai in maniera cristallina, perché questa è tutt’altro che una storia cristallina, questa è una storia senza lieto fine, senza vincitori e soprattutto senza buoni, in questa storia sono tutti “cattivi”, e dipanarsi degli eventi fa uscire fuori la parte peggiore dell’anima di ognuno. E su queste tinte di fondo ho poi collocato i temi – se così si possono definire – di ciascuna anima, e il loro intrecciarsi e il loro evolvere, fino ad arrivare alla risoluzione finale, in cui tutto va a confluire in una sorta di implosione nello stesso nulla con cui il dramma ha inizio.


 Note di scrittura (Come nasce un libretto d’opera)

EMILIO JONA

È da molti anni che scrivo libretti d’opera per amici musicisti: Giacomo Manzoni, Luigi Nono, Sergio Liberovici e Luciano Berio, Marco Podda ed ora Marco Taralli.

Si tratta di una attività a margine di quella di avvocato, scrittore e studioso di cultura popolare che ha assorbito e assorbe la maggior parte delle mie giornate, ed è un più lieve lavoro artigianale che mi interessa e mi diverte. Mi sento infatti, nel realizzarlo, come un falegname che componga una libreria per sistemarci una biblioteca, una biblioteca particolare, fatta di suoni anziché di libri e un falegname che ha un rapporto insolito con il suo committente, con lui deve dialogare per adattare quel manufatto alle sue esigenze di tempi, melodie, armonie.

Nel caso di Delitto all’isola delle capre il soggetto mi è stato proposto da Marco Taralli, si trattava di una commedia di Ugo Betti, un commediografo oggi dimenticato, ma noto e rappresentato negli anni ‘50. E anch’io ne ho subito percepito la forza drammaturgica e l’attualità.

Ho cominciato quindi a discuterne con Marco e poi a scomporre e ricomporre il testo, prosciugandolo, mettendone a nudo la struttura e quindi a tradurlo secondo un ritmo letterario, poetico, narrativo fedele al suo destino di diventare un libretto per musica.

Di quel testo mi hanno prima di tutto interessato i suoni: il vento che spazza un’isola deserta, il rumore delle mandibole delle capre che brucano l’erba in prati desolati, lo sbattere di una persiana irraggiungibile al primo piano di una casa in rovina, le voci deformate che provengono da un pozzo che sta al centro della scena e del dramma. Poi le storie e la personalità delle tre donne sole che abitano quel l luogo, la loro insolita sorte di cittadine diventate pastore di capre, il loro radunare in sé qualcosa di arcaico, da tragedia greca e insieme di contemporaneo, sentimenti, comportamenti, rapporti affetti senza tempo.

Si tratta di un gineceo, composto da una madre dura, amara, di una bellezza un po’ sfiorita, da una figlia con tutti i turbamenti dell’adolescenza, da una cognata quarantenne, piacente e un po’ fatua, in cui irrompe un uomo, dal nome emblematico, Angelo, giovane, sicuro di sé, furbo e prepotente, maschilista e dionisiaco. Viene da lontano, dice di essere stato l’amico dell’uomo che quelle donne ha abbandonato alcuni anni prima, che è morto con molti rimpianti e che gli lasciato un messaggio e un compito, quello di tornare al posto suo tra le tre donne. Con la sua venuta, il suo introdursi nel loro mondo e nelle loro anime, in quella stanza, in quel pozzo anche simbolico, avverranno così fatti che sconvolgeranno la vita di tutti.

Marco Taralli e io abbiamo cercato di raccontarveli in modo nuovo in versi e in musica.


 Note di regia

MATTEO MAZZONI

Il Delitto all’isola delle capre rappresenta per me un’esperienza artistica e personale assolutamente unica, non solo perché è raro mettere in scena un’opera al suo debutto assoluto, ma soprattutto per la possibilità di confrontarsi direttamente con il compositore, il Maestro Marco Taralli, che come uno scultore è stato vicino alla sua creatura fino all’ ultimo colpo di scalpello.

Per la prima volta ho potuto percepire la musica come un’essenza viva, non una partitura già scritta e da ripetersi, mi fa piacere ripensare alle nostre lunghe conversazioni telefoniche come alla trasposizione moderna degli epistolari tra compositore e librettista ai tempi della “Golden age” dell’opera.

Ulteriore peculiarità di questa produzione riguarda la scenografia ed i costumi, assegnati dalla II Edizione del Concorso “Progettazione di Allestimento scene e costumi di Teatro Musicale” dedicato a Josef Svoboda.

Tra i vari progetti partecipanti degli studenti iscritti o neodiplomati al Biennio di Specializzazione delle Accademie di Belle Arti di Macerata, Bologna e Venezia, è risultata vincitrice Josephin Capozzi, con la sua coraggiosa idea di estendere l’azione al di fuori delle mura domestiche.

Tutto la vicenda ruota attorno ad una roulotte, normalmente simbolo di movimento e libertà che qui invece si trasforma in una sorta di prigione immobile nel deserto.

Agata ed il marito hanno deciso di abbandonare la città ed i suoi compromessi, con il desiderio di prendersi una rivincita contro il mondo, di stare soli con le loro idee, la loro tenerezza, la loro sincerità …l’illusione: “la giornata sempre uguale, la mancanza di diversivi. Forse anche i sentimenti, sempre soli con sé stessi, si stancano. Si consumano, restano vuoti.”

Da questa originale alchimia, insieme al Maestro Attura ed ai magnifici artisti del cast, nasce il nostro spettacolo, contemporaneo ed iperrealistico, quasi cinematografico, nel quale i personaggi si muovono con il peso specifico delle loro emozioni e colpe, lasciando il quesito a noi spettatori, di cosa avremmo fatto al loro posto, se saremmo stati capaci anche noi di scendere così in basso.


Il teatro di Ugo Betti: un’indagine sul mistero della natura umana

PIERFRANCESCO GIANNANGELI

Tutti quelli che negli anni si sono occupati del teatro di Ugo Betti (Camerino, 4 febbraio 1892 – Roma, 9 giugno 1953), attraverso saggi o conferenze, hanno iniziato i loro interventi più o meno sempre alla stessa maniera. Vale a dire rilevando, con annesso rammarico, come a un certo punto i testi e i personaggi del nostro autore siano spariti dalla circolazione. Segue domanda: perché? E qui si fa tutto più sfumato, in quanto le ragioni rimangono inspiegabili, una volta considerata la qualità. Una possibile, ma insufficiente, risposta consiste in certe schizofrenie del mercato teatrale, lo stesso che ha sfigurato Luigi Pirandello, trasformandolo in un drammaturgo polveroso, lui che di suo fu, e resta, uno dei principali innovatori della scena internazionale, grazie a una scrittura che a un certo punto diventa un lavoro “con” gli attori e non semplicemente “per” essi. Idee diverse, e menomale che sia andata così, hanno avuto all’estero, dove invece la fortuna del teatro di Betti è rimasta pari al suo essere considerato un autore contemporaneo. D’altra parte la sua drammaturgia – collante indispensabile tra la stagione dell’avanguardia futurista, la rivoluzione pirandelliana, gli sperimentalismi audaci e la diversa storia successiva che proietta il teatro italiano negli anni Sessanta – è lì a dimostrarlo, basta prendersi il disturbo di sfogliare i suoi testi (neanche dall’inizio alla fine, sarebbe sufficiente qualche battuta qua e là, pure a caso) per capire come il centro della ricerca coincida con la natura umana, caratterizzata da elementi insondabili, misteriosi e profondamente contraddittori. Insomma, è un teatro che parla di noi e frequentandolo è come se ci guardassimo allo specchio, con l’effetto che ci riconosciamo, ma non ci piacciamo, soprattutto perché siamo costretti all’ingombrante esercizio del metterci in discussione. Così abituati al bianco o nero dell’epoca dei social, ci siamo dimenticati il valore della pratica del dubbio.

Fu un irregolare del teatro Ugo Betti, nel senso che né quello di drammaturgo, e neppure quello di poeta e narratore, fu il suo unico mestiere. Ci furono infatti anche quelli di pretore dapprima e giudice poi, bibliotecario al Ministero della giustizia e consulente legale del Coordinamento spettacolo. Dunque, la conciliazione della giustizia umana con un’ipotetica giustizia assoluta, l’unione di mondi che non dialogano per natura, fu la sua più difficile indagine, simile a ciò che descrive nel suo testo più famoso, Corruzione al palazzo di giustizia. Teatro ed esistenza quotidiana si incontrano scontrandosi, perché «la storia di Ugo Betti è forse la stessa di tutti quei poveri esseri nati in questa valle di lacrime, che pattuirono col destino di fare arte e vita, vita e arte, partendo da un punto oscuro, semplice, irrimediabile, e arrivando, sempre lentamente a furia di esperienze e di ritrovamenti, a una serie di conclusioni» [Nicola D’Aloisio, Ugo Betti, Edizioni della Conchiglia, Roma 1952, p. 6]. Un’indagine che cerca il colpevole dell’infelicità umana, che può essere mitigata, ma solo in parte, dalla pietà, «una pietà desolata, frutto di una impossibilità, una pietà forzata, senza gioia, come di gente che si chiama nel buio, senza speranza di ritrovarsi» [Achille Fiocco, Correnti spiritualiste nel teatro moderno, Universale Studium, Roma 1955, p. 143]. Siamo al buio su questa terra, ci dice Betti, siamo tutti l’Angelo di Delitto all’isola delle capre, «alla ricerca del dio artefice del destino cosmico» [Alfredo Luzi, Modernità di Betti, in Ugo Betti letterato e drammaturgo, atti dell’omonimo convegno, Macerata-Camerino 5-7 giugno 1992, p. 11]. È un teatro che ci immagina là in fondo al pozzo, nell’oscurità della nostra coscienza, soli con noi stessi, a tendere verso l’alto una mano, sperando, spesso invano, che qualcuno la afferri.


La vicenda

EMILIO JONA

Le vicende di questo dramma sono antiche e insieme della contemporaneità, perché sempre un uomo parte per una guerra o abbandona gli affetti famigliari per altre avventure, lasciando sole delle donne con i loro conflitti e desideri, e sempre degli estranei entrano in quelle solitudini e portano allo scoperto sentimenti oscuri e contrasti e provocano esiti infelici o letali.

Proprio questi sono i temi messi in gioco dal dramma di Betti. Ci sono tre donne che da una città conformista erano passate a vivere una vita alternativa in un’isola, in una natura inaridita dal vento e dalla presenza delle capre, ma si tratta di un’esperienza fallita: sono Agata una donna vedova, bella, dura e un po’sfiorita, sua figlia Silvia, una giovinetta aggraziata e la cognata Pia una quarantenne piacente. Sono sole e non felici, perché Enrico, il marito di Agata, prima le ha abbandonate, e poi è finito in guerra ed è morto prigioniero in un paese africano. Le tre donne stanno in una casa in rovina, con un pozzo al centro e una persiana irraggiungibile al primo piano che sbatte al vento, vivono gestendo, senza più un pastore, un gregge di capre.

In questo gineceo, irrompe dopo alcuni anni, un uomo dal nome angelico, uno straniero, un emigrante, giovane e bello che dichiara di aver vissuto a lungo in prigionia con Enrico, di aver assistito alla sua morte, di essere depositario delle sue confidenze e della sua volontà che Angelo raggiunga l’isola delle capre e si occupi delle tre donne che lui ha abbandonato. Angelo entrerà così con astuta prepotenza nel loro mondo, mettendo in mostra e utilizzando tutte le armi del suo carattere vivace, affettivo, sbruffone, profittatore, possessivo, sensuale e infine dominatore. Egli scatenerà quindi tutti i desideri, i pensieri segreti e i conflitti, e soprattutto la sessualità e la sensualità sino ad ora tenute a bada e represse, delle tre donne mettendoli a nudo e portando il tutto sino al punto di rottura e al suo esito più estremo.

In questa vicenda ha una presenza singolare il pozzo che sta al centro della casa, deposito fresco di pelli di capra e di vino, perché è attorno ad esso, luogo reale e fortemente simbolico, che si agitano i sentimenti e le storie dei quattro protagonisti. Si tratta, come dichiara il titolo, di un giallo; perciò, è giusto non raccontare la fine e chi tra loro e come sarà ucciso. Ma è solo l’apparenza perché il tema vero del dramma è tutt’altro: è il percorso e l’intreccio delle passioni eterne degli umani.

 

 

 

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